Egoismo e Scarsa Visione

Egoismo e Scarsa Visione


Trascorsa qualche settimana dalla Conferenza COP 26 sullo stato della Terra, l’analisi degli accordi siglati a Glasgow individua un atteggiamento in parte discutibile: gli interessi particolari dei diversi Stati condizionano pesantemente la qualità delle decisioni prese. Emergono forti sia egoismo sia scarsa visione, mascherati da “stato di necessità”. Vorremmo essere smentiti dalla progettazione del futuro, speriamo di esserlo, tuttavia le premesse non sono incoraggianti: si fissano condizioni da raggiungere alcune “entro il 2035“, alcune “entro il 2050, come da accordi al COP 21 di Parigi nel 2015“, alcune “prorogate al 2070“. Purtroppo non viene indicata la programmazione anno dopo anno in vista della realizzazione pratica dei progetti, ma così si rischia di avvicinarsi alle date di scadenza senza aver compiuto i passi di transizione necessari, si rischia di arrivare a quei limiti temporali senza sufficienti sviluppi. Nel 2050 saremo là a dire che ci occorre ancora del tempo? che il tempo previsto non è stato sufficiente? perché non si è avuta la necessaria ampia visione?

I dubbi paiono legittimi, soprattutto osservando gli atteggiamenti che registriamo da alcuni decenni ad oggi.

 

Caro Signor Marco,

mi son giunte chiare le Sue parole a commento della mancanza d’una visione globale nel combattere i danni della pandemia virale in corso ed anche dei mutamenti del Clima. Si segue la via del difendere prima di tutto sé stessi, la propria famiglia, il proprio orticello, il proprio cortile, il proprio campanile … lasciando in stato di necessità chi ci è estraneo. Lei afferma provocatoriamente che l’Uomo non si sta certo comportando ragionevolmente, utilizzando male le proprie capacità mentali.

Il Ricercatore del Politecnico di Zurigo col quale Lei stava colloquiando ha fatto notare come il nostro cervello non si sia sviluppato proporzionalmente alle conoscenze che abbiamo acquisito in parecchie migliaia d’anni, parallelamente allo sviluppo culturale nelle varie discipline della conoscenza, bensì sia rimasto legato alle necessità primordiali del proprio gruppo tribale, come avveniva prima che si sviluppassero le società umane. È vero, lo mostra magnificamente anche il biologo Jared Diamond nel suo saggio Armi, Acciaio e Malattie – breve storia dell’Uomo negli ultimi tredicimila anni.

Un tale retaggio primordiale, primitivo, conduce spesso a rinchiudersi entro limiti particolari in posizioni di difesa delle proprie necessità (ma spesso dei propri privilegi): senza aprirsi a risoluzioni ampie che porterebbero giovamento per tutti. È in fondo quell’egoismo e quella scarsa visione che si sono osservate a Glasgow in novembre durante i lavori del COP 26 : ogni Stato, ogni Nazione, ha preso decisioni od ha posto ostruzioni a seconda delle proprie necessità, presentate come irrinunciabili. Si è temporeggiato: “lo faremo entro il 2035, entro il 2050, entro il 2070 … questo lo accettiamo, quello no … le nostre esigenze particolari superano quelle della collettività delle Nazioni”. Superano anche la possibilità di vita sul Pianeta?

Sappiamo bene come i tempi tecnici di una transizione energetica siano obiettivamente lunghi. Ma ciurlare nel manico, prendersi tempo senza dichiarare progetti esecutivi realizzabili, risulta un esercizio molto pericoloso. Il pericolo è che non si facciano subito i primi passi, che si rimandi alle calende greche anche quel che si potrebbe fare subito. Si rischia di giungere alle date di scadenza senza aver compiuto alcun passo, senza aver iniziato il processo transitorio, avendo fatto poco o nulla. Salvo una pennellata di verde.

L’inattivismo (mascherato) è utile per mantenere un proprio favorevole status quo economico, a spese delle condizioni vitali utili per tutta la collettività delle Nazioni. Nel 2050 si dirà ancora una volta che il tempo non è stato sufficiente?

Signor Marco, mi rimane lo sconcerto che dai Congressi sullo stato della Terra e del suo Clima atmosferico non emerga mai un piano di coinvolgimento attivo delle singole persone, delle singole famiglie, il cui impegno sarebbe trascinante. Sembra di notare un inattivismo che si alimenta con la contrapposizione delle politiche nazionali e che pare non desiderare altri attori, pur potenzialmente attivi; addirittura alcuni di questi inattivisti nel corso dei colloqui del COP 26 si sono spesso spinti a dichiarare inutile, inconcludente, il coinvolgimento dei singoli abitanti del Pianeta. Davvero?!? Eppure un recente studio articolato di due Università, una britannica, una svizzera, ha dimostrato che il comportamento adeguato di un solo ottavo della popolazione mondiale -il 12.5% degli abitanti della Terra- basterebbe per condizionare i modi della produzione di beni offerti e delle politiche globali, anche quelle energetiche.

Mi rimane parecchio sconcerto, anche perché la focalizzazione informativa sui temi attuali dura poco, poi si fa evanescente e dilegua. L’allarme climatico dura per le due settimane del COP, risorge ad ogni allarme della Società Meteorologica mondiale, si ravviva un pochino per qualche fenomeno climatico estremo. Non basta! non basta a creare maggiore consapevolezza, non basta a smuovere l’impegno personale pur nei piccoli gesti quotidiani, addirittura spinge al disinteresse individuale facendo credere che altri risolveranno i problemi per noi.

Sono stanco, anche indignato.

Con un saluto vivissimo ed un incoraggiamento a resistere (resistenza, non resilienza!).

Giuseppe

Giuseppe

Studi: Liceo Scientifico Legnano; Ingegneria Meccanica – Politecnico di Milano. Progettista e ideatore di meccanismi ed attrezzature oleo-pneumatiche, impianti automatici e robot meccanici industriali.

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